Giornata mondiale dei legumi

GIORNATA MONDIALE DEI LEGUMI

Tutto quello che c’è da sapere sui legumi “il cibo del futuro” e le tipologie abruzzesi in riscoperta culinaria

In occasione della Giornata Mondiale dei Legumi che Slow Food celebrerà con un forum internazionale aperto a tutti (clicca sul link per partecipare) tramite il quale scoprire come un cibo così antico sia in realtà anche tra i più adatti ad affrontare le sfide future.

 

Stravagante solo in apparenza questa giornata dedicata ai legumi, in realtà nasce per rispondere alle strategie dell’UNEP (United Nations Environment Program) di favorire un’agricoltura sostenibile, di piccola scala e di sussistenza, in grado di produrre alimenti ricchi di proteine, sostitutivi della carne e contribuire al raggiungimento di alcuni degli obiettivi per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

I legumi, infatti, le cui prime testimonianze risalgono all’alba dei tempi, sono frutti (che contengono semi) di una grande varietà di specie vegetali, molte delle quali coltivate, appartenenti alle leguminose. Per l’UNEP sono legumi semi secchi di fagioli, ceci, lenticchie, piselli, arachidi e altre specie che contribuiscono sin dalla nascita dell’agricoltura all’alimentazione umana.

Altamente nutrienti, poveri di grassi e ricchi di fibre solubili i legumi forniscono un grande aiuto al controllo del colesterolo e degli zuccheri nel sangue e grazie a queste qualità sono raccomandati dalle organizzazioni sanitarie per la gestione di malattie come il diabete e l’insufficienza cardiaca.

 

Da sempre amici dei contadini per il raccolto importante che riescono a garantire, si prestano alla vendita e al consumo, contribuendo alla stabilità economica.

I cambiamenti climatici richiedono elasticità di adattamento alla crisi e proprio per questo esperti di sistemi alimentari come James Lomax, considerano i legumi una specie botanica salvifica per la diversità di specie e varietà di legumi; in questo modo infatti gli agricoltori possono diversificare i loro rischi, fornire i mercati per le colture alimentari, interrompere la loro dipendenza dalle colture di materie prime e aumentare la biodiversità e la resilienza.

Le leguminose, inoltre, possono contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici perché riducono la dipendenza dei fertilizzanti sintetici utilizzati per apportare artificialmente l’azoto nel terreno. I gas serra vengono rilasciati durante la produzione e l’applicazione di questi fertilizzanti e il loro uso eccessivo può essere dannoso per l’ambiente.

 

È chiaro quindi che i legumi fanno parte della ricca varietà di fonti alimentari e biodiversità del pianeta e il loro uso è collegato alla lotta ai cambiamenti climatici ed è fondamentale per la realizzazione degli obiettivi dello sviluppo sostenibile. Un pianeta diversificato e sano è la base del benessere umano, della sicurezza e dello sviluppo sostenibile.

Se di resilienza e agricoltura eroica si vuol parlare, allora il collegamento alla regione Abruzzo è semplice e veloce, potendo vantare di una profonda tradizione contadina di coltivazione di leguminose, soprattutto nelle aree montane e pedemontane.

Ad accorgersene è stato anche Slow Food, il movimento fondato da Carlin Petrini nel 1985, che partito da Brà in Piemonte oggi tocca terra in tutto il mondo. L’Abruzzo, infatti, landa di poche pianure e tante montagne, è patria di importanti coltivazioni (in senso qualitativo del termine) di leguminose da epoca remota, quando freschi o secchi erano un alimento fondamentale nell’alimentazione quotidiana, preziosa fonte proteica che ha contribuito forse a fortificare la natura stoica degli abruzzesi stessi.

 

 

Nella cultura gastronomica abruzzese, infatti, i legumi non mancano mai, forse perché particolarmente adatti a crescere in climi poco miti e in terreni poco favorevoli come i ceci, le lenticchie, le cicerchie, i lupini, i fagioli. Quando il grano scarseggiava o era troppo prezioso per essere utilizzato per la tavola quotidiana, i legumi entravano in campo come sostituti di questo, e ridotti in farina venivano utilizzati anche per dare la “forma” al pane insieme a patate e cereali di minor pregio.

In questo caso non ci si può esimere dal ricordare le Virtù, il tipico piatto della provincia di Teramo, consumato ogni primo maggio in famiglia, rispettando l’antica tradizione di svuota-dispensa.

Un tempo infatti approfittando del nuovo raccolto, si consumavano le ultime scorte di legumi e cereali presenti nella madia, insieme a qualche primizia. C’è chi aggiunge la pasta, chi le spezie, gli odori, ma in generale la ricetta tradizionale è più o meno la stessa da sempre; quindi i legumi secchi vengono cotti con le verdure – circa 17 tipi differenti – cotica di maiale e, in caso, pasta fresca o secca. Le Virtù sono un piatto della buona volontà, perché non è di certo semplice assemblare così tanti ingredienti che hanno tempi di cottura differenti: si inizia con l’ammollo dei legumi secchi, si passa poi alla cottura separata di ognuno di essi che, solo una volta raggiunti tutti la giusta cottura e poi la stessa temperatura di raffreddamento (mai però farli raffreddare del tutto!), possono essere uniti gli uni agli altri. Le Virtù, come da tradizione, si preparano in grandi quantità, perché come il pane o la minestra, è un piatto della condivisione, ricco e completo.

 

Non solo di virtù si parla perché in tutto l’Abruzzo ci sono altre preparazioni tradizionali legate alla massiccia presenza di legumi nell’alimentazione di un tempo, ne sono esempio le corroboranti sagne e fagioli con le cotiche, di elevato apporto calorico, le sagne a pezzi e cicerchie, zuppa di lenticchie e così via discoreendo, ma quali sono le preziose specie di legumi che ancora oggi vivono e vegetano in Abruzzo?

 

Ne riportiamo qualcuno qui, certi di dimenticarne qualcuno per strada…

Ceci di Navelli (Aq), la cui produzione arriva ai 10-15 quintali ad ettaro e proviene solo dai campi ben drenati ed esposti al sole. La produzione dei ceci in Abruzzo risale ad epoca medievale; documenti storici, infatti, attestano che la produzione di tale legume spiccava su altre coltivazioni di ceci bianchi, rossi e neri. I ceci venivano consumati in minestra, cotti con la pasta o ridotti in farina per farne la fracchiata, una polenta di farine di legumi e cereali. I ceci arrostiti in una pentola con il vino erano preparati per momenti conviviali, in cantine, tra amici, mentre i ceci bolliti, schiacciati e uniti al miele erano lo squisito ripieno dei calcionetti natalizi.

Fagioli di Paganica (Aq) richiedono molta manodopera per il diserbo manuale delle erbe infestanti, per la sistemazione dei pali in legno che servono da sostegno alle piante e per la raccolta manuale e per la separazione dai baccelli ormai secchi. Il futuro di questa coltivazione è legato alla testardaggine di pochi e giovani coltivatori che hanno creduto nella coltivazione dei fagioli sia come fonte di reddito, sia come volano per la rinascita sociale del territorio. I fagioli bianchi di Paganica sono stati importati dalla Francia, da Marsiglia, per mano di Giovan Basttista Dragonetti e le aree ancora interessate alla coltivazione sono quella del raiale e dell’Aterno, dove i fagioli hanno ricoperto un ruolo importante nell’alimentazione di intere popolazioni.

Esistono due varietà (ecotipi) di fagiolo di Paganica: entrambe a ciclo lungo (dai 160 ai 180 giorni di coltivazione), con fiori bianchi e portamento rampicante, possono raggiungere i due metri se sostenuti con appositi pali in legno. La differenza tra le due tipologie è il colore del seme: il fagiolo a pane (anche definito “ad olio”) è di colore beige tendente all’avana o al nocciola e ha un occhio centrale, mentre il fagiolo bianco (anche definito “a pisello”), è di colore bianco avorio ed è leggermente più tondo del precedente .
Il fagiolo bianco tende ad avere una buccia meno consistente e la parte interna burrosa, risultando più tenero rispetto a quello “ad olio” che però conserva maggiore fragranza e sapore dopo la cottura, che deve essere sempre breve, 30 minuti circa, come indice di qualità.
Si possono cucinare da soli, conditi con olio extravergine, sale e pepe e sono ottimi per la preparazione della locale zuppa dove si sposano con il guanciale, altro prodotto caratteristico del territorio e si accompagnano al pane casereccio, ma non sono mai stati etichettati – a dispetto dei biancucci o dei tunniti – col nome di “carne d  ei poveri” perché hanno sempre avuto un mercato di nicchia ed un costo più alto appunto per la difficile coltivazione.

 

Fagioli “socere e nore” sono tipici della Maiella, chiamati così per il contrasto di colori del seme che appare bianco e nero. Si trovano in commercio sia freschi che secchi e un tempo godevano di un areale di produzione più ampio rispetto a quello odierno che si limita al territorio del paese di Pizzoferrato in provincia di Chieti. Anche questi fagioli rischiavano di perdersi nel dimenticatoio, ma sono stati recuperati tra le altre varietà un tempo diffuse in tutto il territorio abruzzese.

 

Fagioli tondini del Tavo (Pe) dalla colorazione che va dal bianco al color avorio, di forma tondeggiante, devono il nome all’area di produzione dislocata lungo la vallata dell’omonimo fiume Tavo, tra Cappelle, Collecorvino, Farindola, Loreto Aprutino, Moscufo e Penne.

 

Fagiolo poverello abruzzese è un’antica varietà regionale dalla forma ovale e tonda con di colore bianco; molto saporito e delicato è facile da cuocere. Come tutte le altre varietà anche questa si adatta a climi difficili e terreni poco inclini all’agricoltura, caratteristiche che hanno consentito agli abruzzesi di sfruttare i terreni più impervi per la coltivazione.

Lenticchie di Santo Stefano di Sessanio (Aq), rinomate ormai in tutto lo stivale, sono prodotte in piccole quantità da anziani contadini che a stento riescono a soddisfare la richiesta, motivo per cui si trovano sul mercato quantità indicibili di false lenticchie di Santo Stefano di Sessanio.

Un motivo che avvilisce e non poco i produttori che riuniti in un’associazione hanno chiesto la tutela a Slow Food al fine di garantire la tutela del consumatore da eventuali frodi.

Cresce esclusivamente tra i 1150 metri e i 1600 metri di altezza alle pendici del Gran Sasso facenti parte del territorio di Santo Stefano di Sessanio, Calascio, Barisciano, Castelvecchio Calvisio, Castel del Monte. I terreni su cui si sviluppa sono marginali e non vengono trattati con interventi chimici.

Già 7000 anni fa la lenticchia era stata addomesticata e quindi coltivata dall’uomo; altri documenti risalenti al medioevo abruzzese, di proprietà del monastero di San Vincenzo al Volturno, attestano che in quella zona nel 1700 si coltivavano da tempo tali legumi ritenuti già molto pregiati. La lenticchia di Santo Stefano di Sessanio è piccola e di colore scuro striato, è saporita, non ha bisogno di stare in ammollo prima di essere cotta e anche durante la cottura non perdono la loro integrità.

La cicerchia è un legume che dopo essere stato completamente bandito dalle tavole abruzzesi e italiane, oggi è stata riscoperto e valorizzato come merita. Il termine cicerchia deriva dal latino cicercula, diminutivo di cicer, molto rustico, nell’aspetto ricorda un po’ il cece e per sapore la fava e il pisello, ha bisogno di un lungo ammollo prima di essere cucinata e l’acqua va cambiata più volte. La cicerchia va lessata in acqua fredda, con l’aggiunta di uno spicchio di aglio e un pizzico di sale e dopo l’ebollizione la cottura continua a fuoco lento. È particolarmente buona se aggiunta ad una salsa di pomodoro piccante e pancetta, ad accompagnare sagne fatte in casa di sola acqua e farina.

La roveja è una varietà di pisello molto resistente a siccità e ad ambienti difficili, ma poco redditizia, cresce oltre i 600 metri sul livello del mare. Nota anche come pisello dei campi, la roveja è conosciuta sin dall’antichità ma è purtroppo scomparsa dalle nostre tavole con l’industrializzazione. Oggi il suo utilizzo, per fortuna, è tornato di gran moda.

La ricetta

Virtù teramane: gli ingredienti

legumi secchi: fagioli, ceci e lenticchie legumi freschi: piselli e fave verdure: carote, zucchine, patate, bietole, indivia, scarola, lattuga, cavolo, cavolfiore, rape, borragine, cicoria, spinaci, finocchi, barba di frate, finocchio selvatico, carciofi odori: prezzemolo, maggiorana, salvia, timo, aneto sedano, carota, cipolla, aglio olio extravergine di oliva qb, spezie: noce moscata, pepe, chiodi di garofano.

Pasta di grano duro di varie qualità, 100 gr di lardo, cotenna di maiale e osso 500 ml di passata di pomodoro sale e pepe qb.

La preparazione delle virtù

La sera prima mettete a bagno i legumi secchi ognuno in un contenitore e lasciateli in ammollo per tutta la notte. Mettete anche le cotenne e l’osso di prosciutto in acqua tiepida. Sbollentate separatamente tutte le verdure in foglia e ripassatele in padella con olio extravergine di oliva. Al mattino scolate la cotenna e l’osso e fate bollire separatamente i legumi aggiungendo in ognuno un pezzo di cotenna e uno di osso…

Preparate con il macinato di carne delle piccole polpettine aggiungendo solo del sale, la noce moscata e un pizzico di pepe e cuocetele in una padella con poco olio. Preparate un soffritto con sedano, carote e cipolle e uno spicchio di aglio e aggiungete il prosciutto e il lardo a cubetti e poi le polpettine. Aggiungete poi le verdure tagliate a pezzi piccoli: i carciofi, le patate, le zucchine, le fave e i piselli. Lasciate cuocere per 10-15 minuti e poi aggiungete tutte le verdure in foglia cotte il giorno prima. Mescolate molto bene e a lungo e aromatizzate tutto con gli odori e le spezie tritati. Diluite il tutto con la passata di pomodoro e fate sobbollire per 10-15 minuti. Unite i legumi ancora caldi con tutta l’acqua di cottura e fate cuocere per 10 minuti circa. Cuocete i diversi tipi di pasta ognuno nei suoi tempi e poi aggiungeteli alla zuppa di verdure e legumi. Mescolate per altri 15-20 minuti e servite.

 

ATTENZIONE: Le temperature degli ingredienti devono essere sempre uguali. Aggiungete il caldo al caldo o il freddo al freddo.

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